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Cosa dice mamma

Nuvole bianche a settembre

Amo di settembre che le persone tornino a vivere dentro ma le finestre siano ancora aperte, a spalancare vite. Le discussioni tra innamorati, i dialoghi dei film in tv, il rumore dei piatti dopo mangiato. Di fronte casa nostra c’è qualcuno che suona il pianoforte. Lo fa tutti i giorni. Anche ora. Ascolto le note che si susseguono sui tasti e mi sembra di rincorrerle mentre i ricordi rincorrono me.

C’è mio fratello in quelle note. Lui che di pomeriggio si esercitava in casa e si bloccava sempre allo stesso punto dello spartito. Snervante. Ammirevole. Ricominciava dal principio tutte le volte. C’è lui che la sera suonava Baglioni e io che cantavo. A dispetto di quella frase che mi ripetevano tutti: Che dita lunghe, che mani da pianista. Suonare non mi è mai passato per la testa. Io canto – pensavo – era quello il ruolo che mi ero data. Ancora non sapevo che le mie dita lunghe erano destinate a scrivere e accarezzare bambini.

Continua a suonare, il mio vicino sconosciuto e a me torna in mente la mia nonna paterna. Il suo pianoforte nel grande salone, quello con sopra la foto in bianco e nero di mia nonna da giovane, che ogni volta la guardavo e mi sembrava bellissima. Lei che suonava a tutte le feste, dopo aver tagliato una delle torte fatte con quelle stesse mani. Non so dire se ci fosse più cioccolato o più rum, in quelle torte. Ma ricordo quella che dimenticò di offrirmi. Ricordo però, altrettanto bene, lo sguardo di mio nonno mentre lei suonava. In piedi, alle sue spalle. Un sorriso tenero. Litigavano spesso e lui spesso diceva: Non-la-sopporto-più! Ma chissà perché lo diceva con lo stesso sguardo tenero. E sarà che a lei si perdonava tutto dopo una teglia di pasta al forno con le polpettine piccole, piccolissime, che solo lei. La tenerezza è così, qualcuno la mette nello sguardo, qualcun altro nelle polpettine.

Suona ancora il mio vicino, come suonava l’estate che aspettavo Claudio. Costretta al riposo, calmavo le mie ansie ascoltando Einaudi. Quelle note che si rincorrono come Nuvole bianche avevano un potere. Così forte che sono state poi le note con cui Claudio è nato. Einaudi nelle mie cuffie e il suo vagito in sala parto.
Ha iniziato la scuola, il mio scricciolo. Per la prima volta lo lascio in mani che non conosco e lui è così fiero. Ieri l’ho accompagnato in classe e la maestra aveva messo la musica. Einaudi. I bambini giocavano e io pensavo che Claudio, pure in quella stanza nuova, avrebbe trovato un pezzo di casa. A volte la musica entra, a volte esce dalle nostre finestre. Quando poi accade che ci scambiamo le note, che melodia… Poco importa chi suona e chi canta. Mi sa che siamo tutti fatti di musica e parole.

Poi gliel’ho detto a Claudio che quella musica l’ascoltavamo mentre lui era nella pancia. E ti ricordi? – gli ho chiesto – Anche quando sei venuto fuori dalla pancia di mamma. Sì, mi ha detto, e ha sorriso. E mi sa che ha capito, perché quella era una musica senza parole.

 

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1 Comment

  • Reply maddalena 28 settembre 2016 at 9:35

    Che musica hai fatto, anche tu, con queste righe. Ti scopro come si scoprono le cose migliori: un mattino che dondolo malinconica, perché ogni tanto ci sta. E poi invece di dondolare sulla sedia e sul mio mugugnio, finisco col danzare. Mi piace molto il tuo stile, volevo lasciarti anche due parole sotto la tua presentazione, ma lì non c’era lo spazio dei commenti :( Che i piccoli abbiano in sé il segreto della vita, e poi si perda crescendo è una mia forte convinzione. Averli accanto è un’occasione meravigliosa.

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