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Cosa dice mamma

Estate in Calabria, un mare di storie

Arriva in spiaggia verso le 10. Scalzo, abbronzatissimo anche sulla pelata. Sotto indossa il costume e sopra una vestaglia di seta. Nera, con un enorme drago rosso sulla schiena. Sono anni che tutti i giorni mi chiedo se sia un souvenir di viaggio, magari il ricordo di una luna di miele con una moglie che ora non c’è o magari di una fuga improvvisa in cerca di compagnia asiatica. O piuttosto un acquisto a buon mercato all’ingrosso dei cinesi. In ogni caso è lui un biglietto umano per un viaggio mentale. Quante storie si potrebbero nascondere dietro quel dragone che ogni estate sbiadisce un po’. Quante storie può avvolgere una vestaglia di seta.

Come il mio ricordo morbido di tante estati qui in Calabria. Le ricordo tutte le case prese in affitto con zii e cugini. Il viaggio, lungo, i girini pescati col retino, i risvegli tutti insieme, quelli loquaci e quelli con la faccia imbronciata. Me la ricordo la mia di faccia, così bene che oggi la vedo in mio figlio piccolo. Caminia, e una foto scattata da mio padre: avevo tre anni e mezzo e uscivo dal mare portando un secchiello pieno d’acqua, lingua da fuori per lo sforzo. È una cosa di famiglia, casualmente ieri ho fotografato mio figlio alla stessa età e nella stessa identica posa. Ricordo le mamme a cucinare, e noi cugini felici di stare assieme giorno e notte, nella sabbia e sui letti a castello.

Anni dopo, ho incontrato Marco e la sua infanzia a Soverato. È qui che torniamo ogni estate, da 15 anni. Ricordo la casetta stile Grande fratello, col Giraffone che intingeva Macine nel sugo, Maurizio che cercava di combattere la nostra stitichezza urlando: spingiiii dietro la porta del bagno. Antonella che mangiava pasta e piselli dopo il latte, Daniela e la sua risata, Angelo che ci sopportava tutti. Il bilocale dove ora dormiamo in quattro era un porto di mare, con chili di sabbia sul pavimento e chili di vestiti sulle sedie. Si faceva tardi la notte e tardi la mattina, prima della spiaggia si andava da Froiio a prendere i panini. Galbanone e capocollo. Di giorno si ballava Asereje, di sera si beveva Bacardi Breezer. E sempre, si vedevano i ragazzi giocare al torneo.

Oggi veniamo in spiaggia ascoltando Gabbani e in effetti vediamo i nostri figli mangiare granite alla menta. Le granate sono queste botte di nostalgia. Che un momento vedo i bambini felici giocare con i loro cugini, un altro vedo i miei nipoti grandissimi e non riesco a ricordarli in un’età di mezzo, solo quando erano piccoli come i miei. E con loro facevo gli stessi giochi. Un anno, correndo con loro, mi tranciai un neo sotto il tavolino di un ombrellone. Quest’anno, appena arrivata, è stato il frigo a farmene fuori un altro. Me ne restano ancora tante di macchie nere sulla pelle. Quelle non scoloriscono, sono da proteggere.

Ogni anno diciamo: questo è l’ultimo, ogni volta mille problemi e un mare di storie. Ma poi, anche oggi scrivo guardando questo mare, che estate dopo estate ospita persone bizzarre con le loro vite mutevoli. Uomini scalzi in vestaglia di seta, donne con pezzi di nei e pezzi di famiglia. Che la nostalgia è tutta lì. Nelle persone che mancano, chi scattava le foto, chi offriva cene a figli e nipoti. Guardo questo mare e penso che forse non siamo noi a venire qui ogni estate, a nuotarci dentro. Forse è questo mare che guarda noi, da sempre. Ci ha visti bambini con la pelle di seta, ci ha visti dragoni a fare le ore piccole, ci vede oggi un po’ scoloriti, madri e padri di altri bimbi col secchiello pieno e la lingua da fuori. E siamo bizzarri, sì, ma forse gli piace, gli piace guardarci. Nuotare dentro alle nostre storie.

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