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Cosa dice mamma, Cosa fa il mondo

Ai cattivi maestri

Ai cattivi maestri
Chissà se un giorno provaste orgoglio nel guardarvi allo specchio e pensare: sono un maestro. Chissà se un giorno vedevate nel vostro lavoro non solo fatica ma anche un privilegio, quello di seguire, accompagnare, guidare. Mostrare ai bambini un mondo nuovo fatto di libri, di banchi, di colori, ma soprattutto, come sempre, di persone. Voi siete le prime persone. Magister, da magis, lo sapete meglio di me. Avete qualcosa in più. Il vostro sapere, le vostre competenze, il vostro tempo con i bambini che a volte è persino superiore a quello di noi genitori. Vi affidiamo ciò che di più prezioso abbiamo nella vita, non senza timori. Perché sappiamo che difficilmente avrete i nostri metodi educativi, e certamente non li amerete mai come li amiamo noi. Ed è giusto. Perché non è vostro compito amarli. Ma rispettarli sì. Chi non educa col buon esempio, si sa, è un cattivo maestro. Le vostre violenze fisiche insegnano che il loro corpo non ha valore, le vostre violenze verbali dicono che nemmeno la loro mente ne ha. Mentre li umiliate, picchiate, immobilizzate, mentre create lividi che presto andranno via, lasciate ferite ben più gravi. Annientate la loro fiducia, la loro personalità, la loro gioia, annientate la loro sete di sapere, di fantasia, di libertà, di leggerezza. La loro voglia di cantare.

Ai dirigenti scolastici e a tutto il personale nelle scuole
Osservate. Osservate come operano i vostri dipendenti. Che non sono dipendenti qualunque, sono le persone cui voi affidate il futuro. Non dateli mai per scontati. Non trascurate la loro stanchezza. A volte sono cattivi maestri per un terribile bisogno di potere, altre volte perché proprio non ce la fanno.

Ai ministri dell’istruzione
Non ce la fanno. Non ce la fanno da soli, con oltre venti bambini, non a 30 anni. Figuriamoci a 50 e 60. Non hanno le forze, la pazienza, l’energia. Non tagliate i fondi alla scuola, vi preghiamo. Accettiamo di portare noi la carta igienica perché non ci sono soldi per comprarla, ma non possiamo accettare che questo sia la sadica metafora per una scuola che ha meno dignità di ciò che riempie il pannolino dei nostri figli più piccoli.

Agli psicologi
Insegnateci a riconoscere i segnali. A parlare con i nostri figli senza gravare su loro il peso delle nostre ansie. A capirli quando non parlano. O non hanno appetito. A leggere la verità nei loro capricci, nei loro silenzi, nelle loro gelosie, nei loro schiaffi di troppo. A intuire le reticenze, le notti insonni e le giornate inquiete, e anche le serenità apparenti.
Insegnateci a vedere tutto quello che mai vorremmo vedere perché la nostra mente si rifiuta di pensare che le mani cui affidiamo i nostri figli non siano mani di carezze. Le mani di violenza, quelle ci mandano in tilt.

Agli uomini di legge
Insegnateci a denunciare. A non avere paura. A non pensare che se a noi non tocca, o non tocca più, allora il problema sarà di qualcun altro. Insegnateci a lottare e lottate con noi. Insegnateci a credere che se non abbiamo potuto proteggere i nostri bambini, qualcosa ancora è possibile fare. Qualcosa che resti nelle nostre (più delicate) mani. Per esempio un abbraccio. Abbracciate noi con la stessa intensità con cui oggi abbracciamo i nostri figli. Abbracciateci più forte perché a volte ci sentiamo soli. Infinitamente soli.

Ai genitori
Non siamo soli, se vogliamo. Anche noi facciamo parte della comunità scolastica. Siamo quelli dall’altra parte del vetro, quelli che restano sulla soglia. E sulla soglia si va, si viene, ma si sorveglia pure. Perciò guardiamo con occhi vigili e ascoltiamo con orecchie attente. Ma soprattutto parliamo con bocca onesta.

Un maestro violento è un cattivo maestro, ma se questo opera in una società dove colleghi, dirigenti, genitori, magistrati tacciono, allora siamo tutti cattivi maestri.

L’immagine è tratta dal libro “La mia scuola ha un nome da maschio” di Susanna Mattiangeli e Augustín Comotto (Lapis edizioni)

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