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Cosa dice mamma, Cosa fa il mondo

Contro la violenza sulle donne il miglior spot è l’educazione

Da grande farò l’astronauta, io la veterinaria, io la stilista. In occasione della Giornata contro la violenza sulle donne, lo spot Rai ci presenta una carrellata di bambine alle prese con le loro aspettative future. Da grande finirò in ospedale – dice l’ultima – perché mio marito mi picchia. Ora, lasciamo stare le contestazioni, e anche l’eventuale offesa o efficacia di questa comunicazione. Una bambina dichiara il suo futuro. Chi l’ha deciso quel futuro? Se una donna viene picchiata è perché un uomo la picchia. Mi chiedo, quanto sarebbe stato più potente se nel video fosse stato un bambino a dichiarare il suo futuro di violenza? Non so, ho la sensazione che ci concentriamo molto sulla debolezza e poco sulle responsabilità.

Cresciamo le bambine come principesse, mamme, dottoresse. Bambine dolci, pronte all’accudimento, alla cura. E chi cura le loro identità? Appena una bimba gioca nel terreno, si arrampica sugli alberi o si mette in porta per giocare a calcio la definiamo un maschiaccio. Una descrizione a metà strada tra ciò che non è e un dispregiativo.

Non andiamo meglio con i bambini. Non possono piangere se si fanno male e non possono giocare con le bambole. Destano fierezza se baciano una bambina o si prendono coraggiosamente a botte. Non è il mio mestiere indagare sul perché una donna possa diventare vittima e perché un uomo violento. Mi fa riflettere, tuttavia, che tante donne siano finite nelle mani di un marito violento nel tentativo di scappare da un padre violento. O che tante, pur circondate dall’amore familiare, siano state vittime perché si sentissero deboli, inferiori, inadeguate. Pur essendo donne brillanti e intelligenti. O che tante si siano innamorate di un uomo per poi conoscere l’inganno. E la paura. O che tante abbiano desiderato indossare un jeans attillato per esprimere la propria femminilità e non per scatenare reazioni. Forse l’unico strumento veramente efficace è l’educazione.

Proviamo a pensare che un maschietto che piange sta soffrendo e che una femminuccia col pallone si sta divertendo, che un ragazzo con tante amiche non è un play boy e che una ragazza con tanti amici non è una troia. Proviamo ad annullare tutti gli stereotipi, i preconcetti e i pregiudizi. L’unica cosa che viene prima di una violenza è una educazione alla violenza. Mi piace pensare che un bambino cresciuto nel rispetto, quello suo e quello reciproco tra i suoi genitori, abbia poche possibilità di divenire una persona violenta. Non ne ho certezza, è vero. Ma ho certezza invece che un bambino picchiato è un bambino per cui picchiare è, se non giusto, possibile. Eppure reputiamo spesso lecita la sculacciata. Uno schiaffo non ha mai fatto male a nessuno, ci diciamo, ce l’abbiamo persino in un proverbio: Mazz’ e panella fann e figl’ bell. Chissà perché non ammettiamo moralmente che un uomo picchi la sua compagna, non ammettiamo violenza quando ci si delude fra amici, non la concediamo per gli scontri in ufficio. Ma da genitore a figlio sì.

Inorridisco dinanzi a storie di donne malmenate, stuprate, sfigurate. Ecco, sfigurate sempre, in un certo senso, donne che perdono una sana immagine di sé. Inorridisco, ma nulla posso. Se non, educare al meglio i miei due figli maschi.

L’immagine è tratta da “Genitori felici” di Laetitia Bourget ed Emmanuelle Houdart (Logos Edizioni)

 

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