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Cosa dice mamma, Cosa fa il mondo

Wonder, uno sguardo gentile sul dolore

Ho pianto anche io. Me l’aspettavo, l’empatia mi porta spesso a piangere dinanzi alla scena clou di un film. In verità, vedendo Wonder, ho pianto all’incirca per tutto il tempo! Nonostante qualche passaggio forzato e un finale retorico, l’ho trovato bellissimo. Stupendo e commovente.

August Pullman è un bambino con una deformazione facciale che ha sempre studiato a casa, finché non arriva in prima media e i genitori, o meglio la mamma decide che è ora che Auggie entri nel mondo reale. Che vada tra le persone. Auggie è forte, la madre crede in lui, il padre e la sorella lo amano, e tutti nel mondo reale portano un dolore con sé. Ma nessuno è abituato a guardarlo, a guardare in faccia il dolore.

E lui ce l’ha tutto lì, in mostra appena toglie il suo casco da astronauta, appena posa la protezione della sua fantasia. Il mondo reale si scosta perché lui no, il suo casco non l’ha ancora posato. Lo farà solo quando poserà lo sguardo su di lui. Quando lo vedrà davvero. Il passaggio che più ho amato è in assoluto il dialogo tra Auggie e la sua mamma, Julia Roberts. “Solo perché sono tua madre il mio parere non conta? Conta di più”. Il perché non lo svelo per evitare spoiler. Il genitore che ama è quello che guarda. E infatti secondo me il protagonista del film non è Auggie.

La chiave che rende il film così interessante è la distinzione dei vari punti di vista. Perché di fronte a una disabilità, gli equilibri cambiano. Si rompono. E tutti ne restano coinvolti. Tra questi, sua sorella Via. Bella, intelligente, sensibile. È lì per dire a Auggie il suo amore più sincero: quello che gli ricorda che il mondo non ruota attorno a lui. Che il dolore è egoista, ma il dolore è universale. Quello di Via è nascosto in un volto delizioso ma anch’esso salirà sul palco. E solo allora la si vedrà realmente.

L’ironia, per lo più affidata al ruolo del papà Owen Wilson, vola leggera tra una ferita e l’altra. Dove la solitudine è senza dubbio la ferita più profonda. Potrei anche dire che Wonder è un film sull’amicizia. Che più che un legame è uno sguardo, uno sguardo gentile. Salvifico.

Nella pellicola c’è qualcosa di più irreale del classico lieto fine. È il dirigente scolastico. Acuto e attento. Premuroso e comprensivo. In dialogo con i suoi alunni. Le esperienze più vicine di disabilità non trovano tanta fortuna. Anzi, spesso un genitore fa più fatica a gestire un dirigente che a inserire il figlio disabile a scuola. Tuttavia va bene così. Perché abbiamo bisogno di esempi, anche di un film (e un libro, di R. J. Palacio) che ci dica quanto piccoli gesti, piccole attenzioni, possano fare la differenza. A ricordarci che certe cose non sono reali ma potrebbero. Noi potremmo renderle reali. Posando un casco, di ritorno dallo spazio, puntando i piedi per terra e guardando in faccia il dolore. Immaginando sia uno specchio.

 

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