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Cosa dice mamma, Cosa fa il mondo

La condanna di Cucchi, senza codice d’onore

Non avrai il fascino di Tom Cruise, non avrai le sue mogli, non avrai il suo conto in banca, ma quando in tv passeranno Codice d’onore tu saprai recitare la scena clou con la stessa intensità attoriale, incazzato come un toro e con l’eccitazione di chi ha il trionfo della verità a un passo:

Colonnello Jessep, fu lei a ordinare il Codice rosso?

Non me lo perdo mai, nemmeno se mi capita come ieri di vederne solo la fine, e sempre mi lascia l’amaro in bocca quella scena della sentenza quando Dawson e Downie, assolti per omicidio, vengono però congedati con disonore. Là rimani con lo stesso fiato corto e lo sguardo attonito di Downie che si gira verso il suo superiore: Al, non capisco… Per dirla meglio, rimani di merda. È pur vero che spesse volte ciò che ti lascia di merda è lì per insegnarti qualcosa. E quella è in effetti la scena di massimo valore del film. Perché gli imputati non hanno difeso il loro compagno, hanno eseguito un ordine e hanno mancato di umanità. Perché Santiago è morto. E si può discutere di onore, codice, fedeltà. Ma la verità è che Santiago, uomo debole e indifeso, è morto.

Col fiato corto e con lo sguardo attonito rimango tutte le volte che mi trovo davanti il viso tumefatto di Stefano Cucchi. O che leggo le parole della sorella Ilaria. E sì, io passo la vita a dormire sotto la coperta di quella libertà che loro mi forniscono ma no, non contesto il modo in cui me la forniscono. Perché ciò che è accaduto a Cucchi non ha nulla a che fare con la legge, con i diritti, con una divisa. Spesse volte ciò che ti lascia di merda… è semplicemente una situazione di merda. In questi giorni in cui il dibattito del Paese si alterna freneticamente tra il successo di Checco Zalone e la foto del militare in costume pubblicata da Ilaria Cucchi io voglio dire solo questo: Santiago è morto. E il punto non è la vanità di un carabiniere al mare, la sua prestanza fisica, che pure tanto stride dinanzi all’immagine di una “larva”, per seguire una delle tante offensive definizioni di Cucchi. Santiago è morto e nessuno sarà colpevole finché una sentenza definitiva non l’avrà condannato, come Cucchi non sarà un “grande spacciatore” dal quale ci hanno salvato. Lui arrestato, e mai processato. Condannato, però, in via definitiva. In barba alla lentezza della nostra giustizia. Non serve una mostrina per fare un uomo d’onore, aveva ragione il Tenente Kaffee. Ma quale onore, quale giustizia. Nudi o in divisa, ci distingue la nostra umanità. Santiago è morto e non ha fatto neanche una telefonata alla famiglia.

L’immagine è tratta dal libro “Un giorno, senza un perché” di Davide Calì e Monica Barengo (Kite edizioni)

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